raccontare il vino è oramai un compito arduo, forse perchè è emerso molto da bocche troppo veloci, forse perchè si è cercato di rendere un prodotto della terra troppo elitario rispetto alla sua natura o forse ancora perchè si fanno riflessioni che riflessioni non sono, rimangono in superficie e non scavano mai nei luoghi giusti.
e chi dovrebbe parlare di vino? spesso me lo chiedo e spesso oscillo tra varie risposte. sicuramente dovrebbe parlar di vino chi ha competenza della materia viva e poi di quella trasformata, ma soprattutto chi tesse racconti di memorie, chi disegna ancora a matita e vede nella terra più risposte che domande; forse perchè necessitiamo di conferme là dove basterebbe chiudere gli occhi e ascoltare… i nostri sensi. quei sensi stuzzicati dalle arti che esplosivamente ci credono partecipi delle nostre insicurezze e passioni più profonde.
non puoi esimerti, devi confluire verso di loro … loro che ti “calamitizzano”.
così è scattata la scintilla tra un territorio meraviglioso, la valle del belìce e la potenza estetica, liberatoria e curativa dell’arte. nutrimento obbligatorio dopo il terremoto del 1968 che rase al suolo gibellina, salaparuta, montevago e poggioreale, danneggiando gravemente i paesi di santa margherita di belice, santa ninfa, partanna e salemi. una bomba atomica naturale, dove per anni è stato difficile parlare di ricostruzioni, perchè le più complesse erano quelle dell’anima, sconvolta da crepe, deserti e fantasmi.
oggi, anche se con una lentezza ingiustificabile, in luoghi distanti da quelli originari interessati dal terremoto sorgono nuove abitazioni, infrastrutture urbanistiche e stradali che hanno riportato condizioni di vivibilità ma hanno anche profondamente modificato il volto di quella parte della sicilia. per fortuna uomini illuminati come ludovico corrao, allora sindaco di gibellina (1969-1972 ) intellettuale illuminato e poi senatore della repubblica, si mossero per ridisegnare la città e donarle quell’abbraccio rigenerante grazie all’ aiuto di amici pittori, architetti e poeti.
l’arte che nutre
l’arte che placa
l’arte che ricorda
… è nel ricordo di ludovico ammiriamo le numerose opere che hanno trasformato gibellina in un museo concettuale a cielo aperto dove gli unici confini sono dettati dalla nostra mente. il benvenuto in città arriva dalla “porta del belice”, una stella in acciaio di pietro consagra, alta 24 metri: gibellina ha un nuova pianta ellittica e centrifuga, nessun centro aggregante dove convergono le strade. queste ultime sono lunghe e larghe, ottime vie di fuga in caso di necessità, le case, tutte nuove, ordinate, molte firmate dai grandi dell’architettura moderna. la chiesa sferica di ludovico quaroni, il giardino segreto di francesco venezia che racchiude la facciata della cattedrale terremotata e ancora “meeting”, la scultura-edificio polivalente di pietro consagra, il sistema delle piazze (cinque per l’esattezza collegate tra loro) di laura thermes e franco purini, il municipio di vittorio gregotti e giuseppe samonà.
tutta da visitare non in silenzio (già il silenzio è presente in questi spazi, come se fossimo estraniati in un luogo non luogo), ma riempendo ogni cm di quelle strade di riflessioni, di dibattiti, anche di critiche senza le quali non potremmo evolverci.
l’opera più discussa? senza dubbio il “grande cretto” di alberto burri, che sorge sulle macerie dell’antica città. burri (che già ha un cognome molto gastronomico, da spalmare) ricoprì i ruderi della vecchia gibellina con una colata di cemento bianco lasciando però inalterato l’impianto viario. il risultato è un’opera grandiosa a tratti scandalosa, che sicuramente conserva la memoria dei resti che la natura avrebbe altrimenti inghiottito con il passare del tempo.
… tempo che trascorre ma che per l’arte è inconsistente, immobile. un oggetto d’arte è immortale nel tempo, liquido nello spazio, infinito… cosa diversa per il vino la cui storia viene scandita dal tempo e con il tempo ha un rapporto simbiotico e di fiducia. lo sanno bene i produttori di tenute orestiadi, nate nel 2008 a gibellina in sicilia, dove profumi e colori mediterranei si intrecciano col mito e con l’arte. fil rouge della ricostruzione lo stretto rapporto tra agricoltura ed arte, che diviene tratto identitario dell’azienda.
durante la masterclass d’anteprima dei cru della cantina nella splendida cornice di palazzo sant’elia (siamo in pieno centro storico, a palermo) sono state presentate le nuove annate non ancora in commercio dei due cru “il bianco di ludovico” 2018 (catarratto e una quota di 10% chardonnay) e “il rosso di ludovico” 2016 (nero d’avola oltre al 10% di cabernet sauvignon), unitamente al primo spumante metodo classico, futuro 32 mesi, che ha affinato fin oggi solo 24 mesi sui lieviti, da uve carricante provenienti dai vigneti della zona di gibellina vecchia, proprio pochi metri sopra il “cretto” di alberto burri.
brindare è sempre un ottimo motivo per celebrare la vita!
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tecnicismi sulle tre etichette degustate (per chi vuol approfondire):
- metodo classico brut 2018; il vitigno carricante coltivato in altitudine sulle colline di gibellina caratterizza questo vino rifermentato in bottiglia, sboccato per l’occasione della presentazione con 24 mesi sui lieviti, terminerà il suo percorso raggiungendo i 32 in bottiglia. dall’intenso perlage di finezza e persistenza, mostra colore paglierino luminosissimo. il naso è freschissimo con nette sensazioni di crosta di pane, floreali di acacia, fruttate di pera e pesca bianca, agrumi ed erbe aromatiche. in bocca la spina acidica è ben presente, il suo lungo finale è caratterizzato da ritorni minerali.
- il bianco di ludovico riserva 2018; composto da catarratto 90%, chardonnay 10%, le vigne si trovano proprio a gibellina vecchia, ad un’altitudine che supera i 600 metri sul livello del mare, e godono di grandi escursioni termiche. dopo la vendemmia manuale si compie una criomacerazione a 4 gradi per 4 ore, si procede con la pressatura soffice a cui segue una fermentazione nata da lieviti spontanei, che dura 20 giorni a temperatura controllata. solo a questo punto cataratto e chardonnay si incontrano, seguono 6 mesi di affinamento sui lieviti con due bâtonnage a settimana. per i successivi 6 mesi metà del vino affina in tonneaux di rovere francese, metà in acciaio. nel bicchiere ha luminoso colore paglierino, sfodera un naso ricco di fiori di tiglio e gelsomino, sensazioni fruttate fresche di mela, pera, susina, note di erbe mediterranee e agrumate, accenni di pietra focaia. sorso fresco e pieno, di calibrata sapidità e lunga persistenza aromatica intensa.
- il rosso di ludovico riserva 2016; nasce dal vitigno principe siciliano nero d’avola per il 90% e dall’internazionale cabernet sauvignon per il 10%, allevati a 600 mt di altitudine su terra nera franco-argillosa a nord-est della vecchia gibellina, una zona nel quale il vento crea un microclima ideale che genera elevate differenze di temperature tra il giorno e la notte. il vino affina per 4-6 mesi in acciaio e successivamente per 16-18 mesi in barrique di rovere francese. completa l’affinamento in bottiglia per circa 12 mesi. nel calice ha colore rubino concentrato con riflessi porpora, effonde sensazioni di rosa rossa, mirtilli, more, gelsi neri e spezie, deliziosi sentori di liquirizia, tabacco ed erbe aromatiche. l’assaggio è ricco di frutta, cioccolato e nel lungo e fresco finale di note balsamiche.
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nel 2018 tenute orestiadi, grazie alla condivisione di valori e al medesimo amore per il territorio, inizia una collaborazione con “la gelsomina” realtà vitivinicola sull’etna con possibilità di pernottamento. un insieme di terroir unici, quelli di gibellina e della valle del belìce, caratterizzati da una pluralità di suoli, da specifici microclimi e da differenti altitudini che generano vini frutto di passione e dedizione, oltre che di una profonda conoscenza della valle e delle sue micro peculiarità. è questo il vero punto di forza dei vigneti coltivati all’interno della valle del belìce. qui terra rossa, bianca e nera si incontrano, si avvicinano fin quasi a sfiorarsi, donando la giusta sfumatura di colore per ogni varietale, dipingendo paesaggi unici e permettendo a chi si dedica allo studio dei suoli di trovare le terre più vocate per ciascuna cultivar.
la masterclass a cui ho partecipato ha, inoltre, presentato la 40ª edizione delle “orestiadi” di gibellina, rassegna annuale internazionale di teatro, musica, arti visive voluta da ludovico corrao e ormai punto di riferimento regionale e non solo.
di nuovo arte, cultura e enogastronomia si intrecciano e trovano spazio dentro baglio di stefano, masseria di grande interesse architettonico, ricostruita dopo il sisma e divenuta palcoscenico dell’evento. art director, come tutte le ultime edizioni sarà alfio scuderi che permette il rinnovato incontro tra musicisti, poeti, artisti provenienti da tutto il mondo coi contadini, le maestranze locali… in un continuo dialogo tra idealismo e concretezza, contemporaneità e tradizioni, futuro e passato.
qui troverete il calendario della rassegna d’arte le orestiadi a gibellina.
e come se non bastasse, dentro tenute orestiadi, avrete la possibilità di ammirare il “barriques museum” una barricaia attiva con un museo di arte contemporanea che collabora con l’accademia di belle arti di brera. è il primo spazio in italia dove decantano i sapori e sedimentano i sentimenti. il tempo sembra arrestarsi, ma in realtà è tutto in continua evoluzione…
vuoi ancora immergerti nel mondo dell’arte e del vino? leggi nostra rubrica!