Un paio di settimane fa Laura è stata a Donnalucata. Mare, sole, gente bella e cibo vero. E’ stata alla pre pre apertura dell’osteria rituale Caro Melo di Carmelo Chiaramonte, l’uomo che in assoluto ha rivoluzionato la sua idea di ristorazione.
Partiamo dal naming e dal logo del locale: osteria rituale, non inteso come conforme al rito, qualcosa di ordinario o classico, ma invece direi liturgico, una cerimonia della cucina, un evento ogni sera straordinario, un dono che Carmelo fa a tutti i commensali. Il disegno è realizzato dalla figlia di Carmelo, la piccola e tenera Carla. Bagliori di arcobaleno sprigionano dalle pennellate di colore e sembra che quei cerchi concentrici ricordino una papaya o un avocado o forse non è nulla di questo, dovremmo chiedere all’illustratrice Carla, cosa stesse rappresentando.
(Da adesso parlerò in prima persona)
Faccio una premessa: io ho capito davvero chi fosse Carmelo Chiaramonte, solo un paio di mesi fa, quando gentilmente mi ha fatto visitare il suo laboratorio, la sua casa, mi ha fatto scoprire un mondo sconosciuto pieno di magia e di sapori inusuali.
“…Se la pastasciutta è il piatto più diffuso in Italia», dice Chiaramonte «è pur vero che la frase più masticata fa così: ‘In cucina ci vuole amore e passione’. Perché noi italiani siamo gli unici europei che amano parlare di cibo anche a tavola, specialmente quando le pance sono piene e l’ammazza-caffè è già un ricordo. Ma l’amore ha tanti modi di mostrarsi: fuoco sacro, passione, gentilezza, tatto, compassione, senso del possesso, cura e persino pietà…”
Ma, chi è Carmelo Chiaramonte?
Cuciniere errante, ha maturato varie esperienze in Sicilia, sua terra di origine, seguendo una formazione gastronomica molto radicata alle abitudini alimentari della Sicilia orientale. Ha viaggiato in lungo e in largo per l’Italia: gli esordi a Modica, dove è nato, poi Siracusa, Catania, Liguria, Veneto e anche estero. Ha collaborato con progetti teatrali, in qualità di scenografo gastronomico; saltuariamente è autore televisivo per Gambero Rosso Channel e Geo & Geo per Raitre. Chiaramonte è stato chef al Ristorante Il Cuciniere del Katane Palace Hotel a Catania.
Carmelo è, prima di essere un cuoco, un poeta nomade, un eclettico cantastorie, un bambino travestito da adulto! Colui che ti farebbe innamorare anche della sacca spermatica del tonno per il modo in cui la racconta, la lavora, dona sacralità lì dove tutti hanno sempre visto profanazione.
«Carne fa carne, pane fa panza e vino fa danza»
«…secondo me è solo il senso di colpa che fa ingrassare» e come dargli torto? Chi ama il cibo, anzi chi lo venera come noi, non pensa mai al risvolto fisico, ma più alla parte della nutrizione e dell’evocazione che ti da quell’ingrediente, perchè nutririsi, conoscere ciò che odoriamo, assaporiamo e regaliamo al nostro corpo, è importante più del mero aspetto estetico. Il peso forma, l’aspetto fisico invidiabile, è spesso più uno specchio per le allodole che un vero sintomo di alimentazione sana e questo Carmelo l’ha compreso sin da subito!
Le sue non sono solo ricette, i suoi piatti descrivono da un punto di vista storico-antropologico, gli usi ed i costumi legati alla cucina siciliana dimostrando di essere un vero cultore del cibo e delle tradizioni culinarie mediterranee; lui è un vero garante della biodiversità siciliana, ogni ingrediente celebrato da Carmelo diventa protagonista indiscusso della tavola, partendo dalla “banale” pala di fico d’india.
“Ho scelto Donnalucata perché così, quando sei stanco e lavori a 50 metri dal mare, puoi fermarti e tuffarti in mare. Erano due anni che cercavo un posto in cui fermarmi. Come quando faccio la spesa, è il cibo che mi deve trovare. Quindi era il locale che doveva piacermi”
Cosa aspettarsi da Caro Melo? Nulla e tutto. Non sai cosa succederà varcando le porte di questa osteria rituale, dove tutto sembra dettato dal caso, ma nulla è casuale. Per una volta abbandoniamo le aspettative, facciamoci cullare dalle onde del mare, come se fossimo dentro ad una nave che si muove, sempre in balia del caso, senza mai affondare… come dice Carmelo “si galleggia sempre” e forse non sarà un caso se esternamente Caro Melo ricorda proprio un’imbarcazione, con la cabina di comando, la canna fumaria che fa da la vela e la prua che va verso est: ma davvero, cosa potevo aspettarmi, se non un viaggio assolutamente fuori da tutti gli schemi??
Abbasso il menù fisso e viva l’inaspettato! Qualcuno un giorno mi disse “coltivo l’inaspettato”, quindi ogni giorno lavori e sogni per qualcosa che forse non arriverà mai, ma che brami più della tua stessa esistenza! Special si in base a quello che si troverà al mercato, ma mai piatti di routine, l’abitudine la lasciamo a casa. Da Caro Melo c’è bisogno di aria nuova, brezza marina, scirocco estivo.
La sala del locale esterna è circondata da piante selvatiche, verdure dell’orto, piante aromatiche. Ho scoperto l’erba sale (Atriplex halimus) , specie arbustiva spontanea di non grandi dimensioni, molto ramificata, che cresce spontanea nel Bacino del Mediterraneo lungo le aree costiere sia di sabbia che rocciose ma anche nei terreni salati dell’entroterra, resistendo bene agli spruzzi di acqua salata e agli elevati contenuti salini del suolo. Ovviamente ho assaggiato le foglie ed erano davvero sapide!
E poi ho visto il finocchio di mare, oggi quasi sconosciuto ma in passato se ne faceva ampio uso non soltanto in cucina ma anche come pianta officinale. Cresciuta in modo del tutto spontaneo, le foglie hanno un sapore fortemente aromatico e salato, fra il finocchio, l’aneto ed il sedano, leggermente piccanti. E’ tradizionalmente stata impiegata nelle conserve, cotta come verdura o aggiunta a crudo ad insalate, per insaporire sughi o per arricchire piatti di pesce, carne o uova. #sapevatelo
…ma iniziamo questo percorso gastronomico del tutto spiazzante, che sicuramente vi farà riflettere e magari, a tratti, storcere il naso!
L’antipasto è ritmato dai “forse”; sarà forse pomodoro, o peperone, arancia o mandarino? Elemento nel piatto, per molti sconosciuto, è il “cladode” (anche ramo trasformato, spesso di consistenza coriacea, che assume l’aspetto e la funzione di una foglia). In questo caso parliamo della pala (appunto tecnicamente “cladode”) del fico d’india. L’avete mai assaggiata?
Un pot pourri di colori, consistenze e sapori raccontano il piatto: fragole, albicocche, peperoni, pomodori, kumquat (mandarino cinese), “forse arancia candita”, “forse salsa di mandarino salato”. Al tavolo rimaniamo tutti stupiti, ma davvero degli elementi così semplici possono far brillare i nostri occhi e il nostro palato?
U Cuturru
“U Cuturru” era nell’antica Sicilia gastronomica, il grano macinato in casa, tra due pietre laviche, e cotto come la polenta. Questa parola si pensi derivi dal verbo transitvo “cutir” cioè colpire un materiale con qualcosa. Infatti la “pietra del caturru” era una volta il mulino dei poveri. L’uso di questo utensile, di forma trapezoidale, fu, infatti, una pratica molto diffusa alla fine dell’Ottocento tra il popolo per evadere la famigerata “tassa sul macinato”, introdotta dal nuovo Regno d’Italia.
Ed ecco il piatto, questa forma di polenta ancestrale araba, sbarcata in Sicilia 1000 anni fa: grano duro Russello di Modica del Molino Santa Maria, frantumato e cotto con acqua di verdure, di cime di tenerumi (zucchina lunga palermitana), cozze “scappate”, fave di cacao e crema di mandorle: piatto materno e paterno, come lo definisce Carmelo, che sa di famiglia, di casa, di accoglienza.
Un pesce di nome Panta
Ricordando “Un pesce di nome Wanda”, film del 1988 diretto da Charles Crichton, questo secondo ha come attrice la “Panta” (in italiano la Suacia), pesce dal corpo piatto, di forma ellittica (tipo i rombi e tanti confondono le specie) con gli occhi piccoli molto vicini tra loro posti entrambi sul lato sinistro. Piatto godurioso perchè fritto in pastella e servito con una “finta” maionese simulata con il miele di melo, olio di oliva e aceto di melata di abete di mieli thun (Andrea Paternoster, apicoltore di mestiere e amico storico di Carmelo).
Zuppa di mandorle
Basso chitarra e batteria – mandorle, vongole e basilico! Piatto ostico per molti cuochi perchè scandito da soli tre elementi, combinazione di sali minerali forti perchè la mandorla buona, quella siciliana ha la capacità di produrre ossitocina, magnesio come anche le vongole e dar quel sapore in bocca di autenticità.
Mandorla, ma quale? Quella di Avola, varietà Fascionello, cultivar siciliana, diffusa in provincia di Siracusa. Questo piatto nasce da un ricordo di Carmelo relativo ad un assaggio di una crema di mandorle in un piatto, a cui in seguito aggiunse le vongole giocando su una vicinanza linguistica “almeja”, “almendra” e “albahaca” (vongola, mandorla e basilico in spagnolo); ricordo che lui è un grande giocoliere di parole e di vita. Come si mangia questo piatto? Io erroneamente lo feci con il cucchiaio, poi per fortuna un commensale mi redarguì facendomi notare che il guscio della vongola dovesse essere usato come posata, perchè è presente nel guscio una patina di grasso dove risiede la salsedine che da tutto un altro quid al piatto; infatti è possibile percepire tutto il sapore del mare. Infine, leccarsi le dità è doveroso, anche nell’era del COVID. Vongole neanche a dirlo, locali, di Siracusa.
Tonno
E finalmente il cavallo di battaglia di Caro Melo, il tonno rosso, principe dei mari e sultano della tavola mediterranea.
…come le carni di suino amino dorarsi nello strutto, così, tutte le ricette di tonno possono essere condite e cotte con olio di tonno, ottenuto con la colatura dei grassi dei muscoli ventrali, passati in microonde pochi secondi” (dal suo libro A Tutto Tonno ed. Bibliotheca Culinaria)…
Dal dorso al filetto, dalla codella alle guance, fino alle gonadi per poi passare al cuore: tutto quello che si può cucinare del tonno, il “maiale del mare” si cucina! Ma non pensate di vedere la solita ricetta, nessuna tartare, carpaccio o filetto, nessuna crosta al sesamo, ma il tonno nella sua essenza primitiva, istintiva, vera! Attori due parti poco conosciute del tonno, la tracchia (siamo nella testa del tonno, la parte inferiore, un semi cerchio che gira intorno alla testa) e il calcagnolo (parte finale, attaccata alla coda; parliamo di un grande nuotatore che usa molto la coda e per questo la carne è dura e nervosa e va messa sotto sale). Il calcagnolo e la tracchia venivano date ai lavoratori delle tonnare come parte del compenso e per questo poco nobili, ma per veri intenditori! Come le cucina Carmelo? Arrostite alla brace, servite con peperoni arrostiti, limone, pepe nero e fragole per sgrassare e dar un tocco di poesia. Il tonno in questione pesava 140 kg ed era stato pescato al largo di Capo Passero. Piccola digressione, dalla cartina della Sicilia si può notare che tutte le tonnare sorgevano sulle punte dei promontori, sui capi prominenti proprio perché lì il tonno si avvicinava moltissimo alle coste. Adesso questo non succede più e tre sono le cause fondamentali: l’inquinamento, il rumore dei motori marini, le tonnare volanti dei giapponesi nell’Atlantico dove il tonno viene catturato prima che entri nel Mediterraneo. Poi Carmelo, ha voluto rimarcare il fatto che fosse “masculo” (maschio), perchè se fosse stata una femmina, “dovevamo scappare tutti!” cit.
Tonno… che ritorna: tonno con peperonata di fragole
Una ricetta della pirateria gastronomica, perchè avete mai visto in abbinamento le fragole con i peperoni? Le fragole, frutta abbinata alla panna, cambiano volto e sposano i peperoni in un’ unione atipica ma davvero azzeccata! Prossimamente la caponata di ciliegie… 😉
Questa volta è stata scelta la parte del tonno chiamata tarantello; rara e pregiata, è la parte migliore della prelibata ventresca, ottenuta dalle fasce ventrali del tonno. Più precisamente il tarantello è la parte inferiore dell’addome, ricavato da quella striscia che dall’ombelico del tonno arriva poco più giù. La carne del tonno ha riposato quattro giorni perchè si doveva asciugare bene per perdere l’acqua e raccontare il meglio delle sue carni tramite una leggera scottatura.
Dolce al cucchiaio, si mangia in un sol boccone: Cutumè (versante occidentale) o Cutumiei ragusani
Frittella di ricotta di vacca modicana composta da miele caldo di melo, cannella e buccia d’arancia. Si tratta di un dessert semplice per quanto riguarda gli ingredienti, ma di non facile esecuzione perché presuppone una buona dimestichezza con la frittura, che dovrà risultare leggerissima. Per chi supera la prova-fritto, il risultato sarà irresistibile. Ha una consistenza strana perchè lievemente croccante e dopo l’assaggio subito liquida.
E ancora dolci…
Presentati nel cestino da cucito delle sartine (della serie, le cose cucite bene vanno servite nel modo giusto) abbiamo un piccolo cadeaux con la pasticceria secca della più antica fabbrica di cioccolato di Sicilia, Bonajuto. Partiamo dai dessert più tradizionali di farina di mandorla decorati con frutta candita o frutta secca a quelli di mandorla con farina di carrube, per poi raccontare la Sicilia orientale con due biscotti secchi delle nonne: i Nucatoli, dalla tipica forma a “S”, preparati con fichi secchi e miele insieme ad altri ingredienti come noci e marmellata di mele cotogne e le ‘Mpanatigghi, biscotto di Modica per eccellenza, prodotte con una ricetta antichissima che coniuga cioccolato e carne ovvero controfiletto di manzo.
Eclettico come lui, Caro Melo, non sarà solo luogo di cultura gastronomica e di sperimentazione, ma anche di arte, mostre, progetti sociali, di serate “clandestine”, dove inviterà amici, partner, produttori per creare un comitato scientifico in cui ognuno potrà esprimersi al meglio senza restrizioni, senza sovrastrutture, per il puro piacere della convivialità e della conoscenza.
Si definisce “…bello come un carciofo spontaneo” e lo è davvero Carmelo, selvaggio, nudo, spiazzante, unico e imprevedibile. Vi invito a provare la sua “cucina”, ad entrare nel suo mondo, a perdervi per poi ritrovarvi: fatevi guidare da lui, credo che vi farà innamorare come è successo a me!
… e termino con questa bellissima foto insieme e con il drink a me dedicato “Laura ti voglio bene”, arancia tonic : aranciata, Gin, ghiaccio affumicato e rametto di geranio limone ????.