Dopo un lunghissimo iter, finalmente, il Pistacchio di Raffadali sta per ottenere l’agognato marchio DOP, diventando il secondo dell’isola (dopo quello di Bronte). Nel frattempo, vediamo di fare un po’ di chiarezza e di parlare delle caratteristiche che lo contraddistinguono e della sua storia.
Durante i lavori del Convegno Nazionale sul Pistacchio (vi ricordiamo il nostro l’articolo sul Fastuca fest – Festival del pistacchio di Raffadali) , Raffadali viene definito il principale centro e la principale piazza del mercato del pistacchio. Le caratteristiche socio-economiche delle aziende agrarie dei produttori di Raffadali, mostrano che, a fronte di un’estensione territoriale contenuta, numerosi terreni agricoli censiti nei comuni limitrofi, sono coltivati da agricoltori di Raffadali, ragion per cui i loro prodotti vengono ad essere assimilati come prodotti raffadalesi. Anche il pistacchio, pertanto, coltivato in queste condizioni nelle contrade degli agri di Joppolo, Santa Elisabetta, San Biagio Platani, Sant’Angelo Muxaro, Cianciana, Cattolica Eraclea, Agrigento, Favara, Casteltermini, Racalmuto, Aragona e Santo Stefano Quisquina, si inserisce in questo contesto, andando a rappresentare quello che tipicamente viene identificato come Pistacchio di Raffadali.
Negli anni 70 la politica agricola ha incentivato alcune colture, piuttosto che altre e molti coltivatori di pistacchio hanno deciso di abbandonare la produzione e dedicarsi a prodotti che gli garantivano la ricezione di fondi. Tutto ciò è accaduto anche perché la lavorazione del pistacchio è molto lunga e complicata. Per fortuna negli ultimi anni il pistacchio è stato rivalutato, anche e soprattutto dal punto di vista economico, quindi moltissimi abitanti del raffadalese e non solo, hanno deciso di riprendere la produzione.
Gli impianti, nel territorio dove si coltiva il pistacchio di Raffadali, sono prevalentemente di tipo artificiale, si ottengono dall’innesto di Pistacia Vera su Pistacia Terebinthus; per questo motivo la pianta è coltivata sia nei terreni ricchi e fertili, che in quelli marginali e meno ospitali.
Le cultivar sono: la Bianca Napoletana, che è quella più utilizzata, la Cappuccia e la Grappalora (chiamate anche “nostrane”). Mentre, il terreno è calcareo e sabbioso. La produzione del pistacchio non è affatto semplice ma, come quasi tutte le cose migliori, richiede molta pazienza. Infatti, i frutti si iniziano a raccogliere dopo circa 6/7 anni dall’impianto; tutto ciò lo rende un frutto ancora più speciale.
La raccolta del pistacchio avviene tra la metà di agosto e l’inizio di settembre, in due diversi momenti che di solito si susseguono in 7/15 giorni perché i frutti non maturano tutti insieme. I frutti della prima raccolta vengono detti di prima mano. La raccolta avviene mediante bacchiatura sulle reti o per brucatura, utilizzando panieri o ceste, avendo cura di impedire che i frutti cadano per terra.
I frutti devono essere smallati manualmente o meccanicamente, per ottenere il prodotto in guscio, entro le 24 ore successive alla raccolta, onde evitarne l’imbrunimento e l’eventuale contaminazione. Successivamente alla fase di smallatura, il prodotto in guscio deve essere immediatamente essiccato alla luce diretta o con altri sistemi d’essiccamento.
Dunque, dopo la raccolta si può procedere in due modi diversi: il pistacchio viene messo ad asciugare al sole con il mallo (il guscio) o senza e quindi fatto asciugare solo con il secondo guscio. Con il guscio, i pistacchi, si conservano meglio e seguendo alcuni accorgimenti possono durare anche per un paio di anni. Molti produttori li vendono direttamente così. Anni fa, invece, erano le donne a sgusciare questi deliziosi frutti, semplicemente usando una pietra. La difficoltà stava nel togliere il guscio senza rompere il seme perché i pistacchi interi venivano venduti ad un prezzo più alto. Quindi, più erano abili le donne, più il prodotto fruttava al coltivatore. Questa operazione veniva fatta nel momento in cui il prodotto doveva essere venduto, non prima.
Storicamente il pistacchio è originario delle zone aride dell’Asia centrale e la sua coltivazione in Sicilia venne introdotta da Lucio Vitellio nel 30 d.C. Secondo il celebre botanico Minà Palumbo, furono gli arabi a intraprenderne la coltivazione, tra IX e XI secolo, diffondendola nei terreni poco profondi e calcarei, tipici delle aree interne collinari.
I primi pistacchieti della zona risalgono al 1300 e prove storiche dimostrano che già a fine 1300 esisteva l’arte della lavorazione del pistacchio e del proprio uso in pasticceria. Era stato un uomo arabo, assunto come tutto fare dalle monache del Monastero di clausura del Santo Spirito di Agrigento a portare le tecniche dall’oriente. In particolare la ricetta più antica era quella del Cous Cous dolce fatto con il Pistacchio di Raffadali. Le monache l’hanno tramandata alle novizie ed ancora oggi nel monastero viene eseguita la vecchia ricetta.
La storia del Pistacchio di Raffadali inizia ai primi del 900 quando i territori di Raffadali e di Joppolo Giancaxio appartenevano ad Antonio Colonna Duca di Cesarò, ministro delle poste e telecomunicazioni prima e durante il governo di Mussolini (successivamente trovandosi in contrasto con l’ideologia fascista si dissociò ed abbandonò l’incarico). Aldilà dell’impegno politico, Colonna era un appassionato botanico e grazie al suo ruolo ed alla sua famiglia di origine (una potente famiglia romana) vantava importanti conoscenze nel mondo della botanica. Ecco perché invitò numerosi esperti a visitare e studiare i suoi pistacchieti. La zona ne contava già parecchi risalenti a circa 200/300 anni prima, in particolare nei suoi terreni ce n’erano due così grandi da raggiungere un’altezza superiore a 12 m; inoltre, riuscivano a produrre fino a 250 Kg di pistacchio per pianta, quantità enorme dato che in media una pianta di pistacchio produce circa 30/40 Kg di frutti. Purtroppo oggi questi due maestosi esemplari non esistono più. Tutto ciò è stato raccontato anche dal celebre botanico Bonifacio. Insieme a questi studiosi, il duca impiantò nuovi pistacchieti nella zona. Colonna mandava i pistacchi ed i dolcini al pistacchio realizzati nel proprio territorio ai circoli della nobiltà palermitana accrescendo la fama del pistacchio locale.
Il Pistacchio di Raffadali è molto ricco di oli (caratteristica che lo rende particolarmente adatto all’utilizzo in cucina ed in pasticceria), ha un gusto delicato e naturale, versatile e non troppo grasso. Un’associazione, guidata dal Presidente Rino Frenda si occupa della tutela e della promozione di questo straordinario prodotto. 100 sono gli associati tra produttori e trasformatori su 31 comuni della provincia di Agrigento e 2 della provincia di Caltanissetta.
Oltre ad essere squisito, il Pistacchio di Raffadali, ha anche delle caratteristiche nutrizionali che lo rendono utile per la nostra salute. Ad esempio, il consumo del pistacchio è correlato ad una diminuzione dei livelli ematici di colesterolo, trigliceridi ed LDL (colesterolo cattivo) e nel contempo ad un aumento dei valori di lipoproteine HDL (colesterolo buono), grazie alla presenza in questo alimento di acidi grassi mono e polinsaturi di ottima qualità che ne favoriscono questa funzione. Inoltre, grazie all’elevato contenuto in Vitamina E ed antiossidanti, i pistacchi favoriscono la protezione del sistema vascolare e possono contribuire significativamente alla riduzione della pressione nel sangue, rivelandosi un’ottima arma per combattere l’ipertensione. Quindi, anche più volte durante la settimana, possiamo cadere nella tentazione di assaggiare un ottimo gelato al pistacchio ;-).
Cos’altro aggiungere? Sono belli, buoni e sani, non vi resta altro che andare a Raffadali per scoprire il paese del Pistacchio!
Ps: non vogliamo alcuna responsabilità… consumatelo responsabilmente, provoca dipendenza 😉