Oggi parliamo di un simbolo della ristorazione palermitana che fin dalla sua apertura, nel 1967 a Piazzale Ungheria, ha scritto pagine importanti per l’enogastronomia siciliana: il Charleston. Una storia lunga oltre 50 anni, in cui il ristorante ha cambiato “casa” diverse volte mantenendo, però, la qualità e la raffinata eleganza che lo contraddistinguono immutate. Tantissimi gli anni trascorsi nell’Antico Stabilimento Balneare di Mondello, una perla dell’architettura Liberty, che hanno portato all’identificazione tra la sede ed il ristorante. Anche adesso che il ristorante si è spostato, ormai da qualche anno, i palermitani continuano a chiamare lo Stabilimento con il suo nome. Nel tempo, numerosi ospiti illustri hanno visitato il Charleston: Papa Giovanni Paolo II, Tomasi di Lampedusa, diversi Presidenti della Repubblica italiani e Primi ministri stranieri, aristocratici ed artisti come Maria Callas, Gassman, Al Pacino, ecc…
Proprio nella cucina del Charleston venne inventato uno dei piatti più apprezzati della tradizione palermitana, ovvero, gli involtini di pesce spada. Un piatto “semplice”, ricco di gusto, che racchiude tutti gli elementi tipici della gastronomia siciliana: uvetta, pinoli, pangrattato ed, ovviamente, il pesce spada.
Oggi il Charleston, di proprietà della famiglia Glorioso, si trova in Viale Regina Elena a Mondello, in una bellissima villa in stile Liberty dei Conti Bernard de la Gatinais. Peccato non aver potuto godere dello spazio esterno (causa mal tempo): uno splendido giardino dove il verde incontra il blu mare tra maioliche e lampadari di cristallo.
Nuova linfa vitale è stata apportata dall’arrivo, nel 2017, del giovane chef Santino Corso, affiancato da un nutrito e preparato personale di sala, composto dal maitre Vito Augello, Gaia Fulco e dai sommelier Giorgio Dragotta e Domenico Siino.
Noi siamo state invitate a provare il nuovo menu, composto da tre percorsi di degustazione ed il menu alla carta. I menu degustazione sono molto diversi tra loro e nascono dall’urgenza dello chef di dare sfogo a tutta la sua creatività.
“Libera-mente” è un percorso di otto portate, assolutamente sperimentale ed alla cieca. Lo chef ha carta bianca, i piatti cambiano di giorno in giorno a seconda della disponibilità delle materie prime e del suo estro. L’unica certezza è che si tratta di piatti fortemente radicati al territorio ma ricchi di contaminazioni, soprattutto asiatiche.
Il secondo menu è quello che abbiamo provato noi e che approfondiremo più tardi, si chiama “Tutto il mare di Sicilia”.
A questi due si affianca “Per…Corso Charleston” che comprende i piatti più apprezzati dello scorso anno. In carta, non mancano i piatti che hanno fatto la storia del ristorante, come la “Melanzana Charleston” e l’ “Involtino di Pesce Spada”.
Adesso parliamo della nostra esperienza e del menu “Tutto il mare di Sicilia”. L’accoglienza ed il servizio sono, com’è facile immaginare, garbati ed ineccepibili. Tutto è fatto affinché l’esperienza del cliente sia perfetta sotto ogni aspetto. Ogni piatto è stato spiegato nel minimo dettaglio e correlato, in alcuni casi, dalle indicazioni necessarie per la corretta ed ottimale fruizione; come abbiamo anticipato Corso è puro estro quindi aspettatevi di tutto! Perfetto anche l’abbinamento ed il servizio dei vini, fondamentali in un percorso che punta all’eccellenza assoluta.
“Tutto il mare di Sicilia” è un viaggio di sei portate alla riscoperta del nostro mare e dei suoi migliori prodotti. Anche stavolta, i piatti variano in base al pescato del giorno e contengono citazioni alla nostra tradizione e contaminazioni.
Prima di partite con la degustazione vengono serviti grissini di farina di Tumminia e Grano Saraceno, pane di farina di Tumminia e pane bianco fatto con lievito madre. Abbinati ad una varietà di oli: il più delicato è quello di Biancolilla, si cresce di intensità con quello di Nocellara del Belice per poi raggiungere il culmine con la Tonda Iblea.
Iniziamo dall’ Amuse-Bouche: “Pane cunzato con gelatina al pomodoro, formaggio, acciuga e basilico”, “Cannolicchio con baccalà mantecato al cavolfiore”, “Pralina di sarda a beccafico con chips di arancia e infusione di alloro”, “Calamaro tosazu”, “Cozza con dashi e capperi”. Una splendida esplosione di colori, quelli dei piatti ma anche quelli dei supporti, meravigliosi, raffinati e studiati nei dettagli. Il nostro preferito è stato la Pralina di sarda, nell’aspetto non conserva nulla della tradizionale sarda a beccafico ma ne ha tutto il gusto. Le preparazioni sono elencate in ordine di degustazione e vanno dalla più tradizionale alla più ardita, tenendo le papille gustative attente e ricettive un assaggio dopo l’altro. Infatti, gli ultimi due sono i più spinti e presentano elementi importati dall’Asia come la tempura ed il dashi (un leggero e limpido brodo di pesce, indispensabile nella cucina giapponese).
All’Amuse-Bouche, ed anche all’antipasto, è stato abbinato 700, Brut Metodo Classico di Cusumano. Il nome, singolare, deriva dal fatto che la Tenuta Ficuzza, nella quale viene prodotto, si trova a 700 metri sopra il livello del mare. Giallo paglierino intenso e perlage finissimo e persistente per questo metodo classico ottenuto da Pinot Nero con una piccola aggiunta di Chardonnay. Il risultato è armonico: al naso risaltano note di frutti rossi, tipiche del Pinot Nero, e floreali, caratteristiche dello Chardonnay; mentre il sorso è fresco e pieno.
Andiamo all’antipasto: Sua Maestà il Gambero Rosso. Si tratta di un piatto suddiviso in quattro parti diverse, tutte create a partire da un unico gambero rosso che danno vita ad una composizione talmente bella da sembrare un’opera d’arte contemporanea.
Il percorso tra le quattro componenti del piatto ha un ordine ben preciso. Si parte con Zucchero soffiato con gambero rosso e nocciole, spuma al nero di seppia, shiso (pianta aromatica ed officinale) e agrumi. La preparazione, molto tecnica, riprende la soffiatura del vetro. La trasparenza dello zucchero da la possibilità di vedere gli ingredienti che sono contenuti al suo interno. Lucente e prezioso come un diamante. Si prosegue con un “gioco”. Viene portato un contenitore con dei sassi neri, tra questi uno soltanto è commestibile e racchiude una bisque di gamberi. Va mangiato in un unico boccone, la sensazione è chiara: tutto il sapore del mare esplode in bocca. Si prosegue con La testa, un vero azzardo in un ristorante gourmet, che celebra l’usanza palermitana di succhiare l’interno della testa di gambero. Un’esperienza per palati forti, il sapore della testa del gambero è unico ma difficile. Si termina il cammino con una tisana al gambero rosso con mela verde, menta e scorzetta di arancia, che pulisce e prepara il palato all’arrivo della portata successiva.
Arriviamo al primo: “Spaghetto Kefir”. Il Kefir è un procedimento di fermentazione originario del Caucaso utilizzato anche in Turchia. Lo “Spaghetto Kefir” unisce, ancora una volta, le tecniche dell’Asia minore alla materia prima siciliana, come la Bottarga di ricciola pescata nei mari del Palermitano e la mandorla di Avola. Per preparare lo Spaghetto Kefir, il latte viene lasciato fermentare per 12 giorni con mandorle di Avola non trattate. Completano il piatto il lime e la bottarga di ricciola. Dal punto di vista gustativo è il piatto più semplice del menu, il più tradizionale. Potremmo dire che segna una “pausa” dai contrasti e dalle sperimentazioni ma tutto ciò è assolutamente studiato e voluto dallo chef. Lo scopo è quello di fare un gioco di alti e bassi per non annoiare ed abituare il palato, obiettivo centrato in pieno.
Al primo è stato abbinato il Didyme di Tasca d’Almerita. Si tratta di una Malvasia secca delle Lipari. Alla vista si presenta con un giallo paglierino brillante, poi colpisce con i suoi sentori marini e floreali e le note agrumate. Un bianco equilibrato, morbido, fresco e con una buona sapidità.
Continuiamo con la “Zuppa di Pesce”. Rivisitazione della tradizionale zuppa di pesce, i cui ingredienti variano in base al pescato del giorno. In questo periodo dell’anno vengono utilizzate spesso la palamita, la mupa nera, la gallinella e le triglie. Qui si torna a giocare. Ad accompagnare i tocchetti di pesce troviamo due “pomodorini”, uno rosso, composto da tartare di gambero rosso glassata con gel al pomodoro, ed uno giallo, con tartare di scampo e gel allo zafferano. Crudo e cotto di pesce, dunque, bagnati da un delizioso brodo. La componente ludica ha un valore fondamentale. Immaginate lo stupore che si prova nel mangiare un “pomodorino” e scoprire che in realtà si tratta di pesce crudo! Colorato, elegante nella sua semplicità è un secondo delizioso sotto ogni aspetto.
Ad accompagnare questo piatto Vignavella dell’azienda Milazzo. Molto interessante la storia di questo vino. L’azienda ha acquistato un terreno adiacente al proprio (da cui il vino ha preso il nome) ed in questo ha trovato una peculiare tipologia di vite, sconosciuta, che è stata definita V10. Si sarebbe propagata partendo da un antico biotipo di Catarratto. A questo, viene aggiunto il Catarratto proveniente da Munti (altra vigna di Milazzo). Giallo paglierino tendente al dorato; sentori intensi e ricchi di frutta esotica, frutta gialla e spezie dolci; all’assaggio è fresco, morbido, fruttato ed elegante.
È il momento del predessert. “Malvasia” composto da crumble ai fichi secchi, meringa al limone, sorbetto di Malvasia delle Lipari. Delicatissimo, sia all’aspetto che all’assaggio. La meringa si scioglie in bocca ed il sorbetto ha un sapore incredibile: una dolcezza accennata, per nulla stucchevole, ed aromatica.
Il dessert è un tripudio di colori, un omaggio alla primavera, già a partire dal nome “Spring”.
Due mousse di gelsomino dorate e due glassate nel cioccolato, gelato agli agrumi, crumble di mandorle salate, cialdine alla mandorla. Il gelsomino risveglia i sensi e fa tornare indietro, con la mente, alle estati dell’infanzia. Il gelato agli agrumi, dolce ed aspro al contempo da una sferzata di vitalità che viene poi smorzata ed addomesticata dalle mandorle. Le cialdine hanno una splendida consistenza. Cremoso, croccante, dolce, salato, non manca nulla a questo dessert.
Terminiamo il nostro pranzo luculliano con la Piccola Pasticceria. Sette piccoli assaggi (uguali per tutti i menu degustazione) che chiudono il pasto lasciando un dolce ricordo della Sicilia più tradizionale. Come tutto il resto delle portate, anche la pasticceria è creata dalla cucina del Charleston. Si parte da una piccolissima sfincia alla ricotta, si continua con una mousse di pistacchio, un piccolo tiramisù, la testa di turco tipica di Castelbuono, le lingue di gatto, grissini ai ceci e cioccolato Valrhona ed una mini cassata al forno con ricotta di capra. La mousse di pistacchio e la cassata al forno sono stati i nostri pasticcini preferiti ma erano tutti davvero deliziosi!
L’Ecrù di Firriato ha accompagnato questa dolce maratona. Un passito naturale di uve Zibibbo ottenuto per infusione. Un vino caratterizzato da un colore giallo dorato con riflessi ambrati, aromi intensi di miele, di scorza d’arancia candita, di fichi secchi e pesca sciroppata, delicati richiami speziati, di alloro e citronella. Estremamente fine, equilibrato, persistente, avvolgente ed elegante.
Siamo giunte al termine del nostro racconto e speriamo di non avervi annoiato ma l’esperienza meritava un racconto dovizioso. Ringraziamo l’intera famiglia del Charleston per averci coinvolte ed accolte con calore e per averci donato a fine pranzo, un cadeaux molto carino, l’amaro Naranji a base di arance siciliane ed erbe aromatiche. La boccetta da borsetta è veramente azzeccata per chi, come Roberta, ama sempre aver dietro qualcosa di forte per le giornate NO ahaah.
Prima di lasciarvi vi ricordiamo che oggi, 18 aprile, ci sarà una serata molto speciale al Charleston. La cucina dello chef Santino Corso incontrerà i pregiati vini di Angelo Gaja. Un’occasione unica ed imperdibile. Per tutti i dettagli e per conoscere il menu, creato ad hoc per l’occasione, potete visitare le pagine del Charleston. L’evento è a numero chiuso quindi affrettatevi a prenotare!