Voglio inaugurare il mio esordio come ospite delle Saporite, con un cocktail iconico e emblema di un modo di bere sempre meno diffuso: il cocktail Martini, cioè il re.
Non una semplice bevanda, ma uno stile, una filosofia, un modo di essere.
L’alfa e l’omega della mixology, due ingredienti (anzi tre, perché ricordiamolo, il ghiaccio è un ingrediente) che si fondono insieme per creare una sinfonia fatta di gin e vermut.
Ingredienti:
6 cl di gin
1 cl di vermut dry.
Esistono diversi modi di preparare un cocktail Martini, normalmente gli ingredienti vanno versati nel mixing glass precedentemente raffreddato, trattamento che, del resto, è cosa buona e giusta riservare anche al bicchiere.
Non un bicchiere qualsiasi ma l’iconica e omonima coppa Martini, simbolo di uno stile essenziale proprio come il cocktail da cui ha preso il nome.
Versati vermut e gin nel mixing glass, questi vengono fatti ruotare insieme al ghiaccio e (secondo dottrina in media una dozzina di volte) per raggiungere il perfetto equilibrio tra bassa temperatura e annacquamento; più si mescola più il Martini sarà freddo, ma anche più annacquato. Così miscelati, gli ingredienti vengono versati nella coppa e guarniti con un lemon twist o con un’oliva.
La sottoscritta, che da sempre ama tanto il gin e ha fatto del Martini il suo cocktail spirituale, normalmente se lo prepara a casa, separando però i due ingredienti.
Vengo, arrivo e mi spiego.
Freddato il mixing glass e gettata via l’acqua in eccesso, verso il solo vermut sul ghiaccio, lo giro (questo sì una dozzina di volte) e poi butto via il vermut. A seguire, verso il gin, sullo stesso ghiaccio precedentemente aromatizzato, girandolo per una quantità di volte indefinita, che io quantifico a sentimento.
Ora, al di là delle mie tendenze alla beva, che cosa ha reso questo preparato alcolico talmente celebre da fare rivendicare la sua origine praticamente da tutte le nazioni del mondo?
Innanzi tutto è giusto ricordare che la sua nascita avviene in America, nell’età dell’oro quando a San Francisco arriva un certo Jerry Thomas, altrimenti noto come il Professore, padre della mixology, Giustiniano dei cocktail, liberatore di catene e signore di El Dorado.
La leggenda narra che una notte del 1862 un viandante in cerca d’oro, carico di speranze e entusiasmo si accostò al bancone del Professore, vi posò una pipita d’oro ed esclamò: “ Lei che è un Professore dei cocktail, me ne prepari uno in grado di stupirmi!”.
Il Prof. che come tutti i preposti al contatto con il pubblico nel frattempo, si era fatto crescere un pelo sullo stomaco che nemmeno Bigfoot, non si scompose, si rivolse alla sua bottiglieria e scelse gli ingredienti.
Prima di servire la miscela al viandante, prese un limone, lo tagliò a metà, tolse la scorza e ci guarnì il bicchiere.
Il buon viandante, fece fuori un bel pò di quella mistura e prima di andare via chiese a Thomas come si chiamasse la bevanda. Il barman con la sua impassibile compostezza chiese a sua volta al cliente, dove fosse diretto; Martinez era la città di destinazione del viandante.
“E allora questo è il Martinez cocktail”.
Da lì, nacque quella leggenda che tante modifiche e variazioni ha subito ma riesce a incantare ancora milioni di bevitori seriali nel mondo.
Questa non è esattamente la storia ufficiale, quella che potrete sciorinare con la sicurezza di non essere contraddetti.
Anche perché ad esempio, l’Oxford English Dictionary, abbraccia la tesi italiana e lega l’origine del nome al vermut della Martini & Rossi, anche se, come è noto e in pieno costume italiano, il celebre e italico vermut sbarca nel nuovo modo molti anni dopo l’invenzione dell’alcolico balsamo.
Ad ogni modo, ciò che conta è che in qualche modo sia arrivato ai giorni nostri, persino nella bella e assolata Sicilia, nel cui capoluogo mi sollazzo, sempre a caccia di roba buona da bere.
Questa volta, scelgo un posto in pieno centro, che mi ricorda la gioventù, dove, ai tempi in cui Coppola girava il PADRINO, un mitologico Al Pacino, vi si sedeva e ordinava – manco a dirlo – un Martini.
Parlo della Bottiglieria del Massimo (a noi quasi quarantenni indigeni nota come Champagneria) e qui il barman Angelo Sciacchitano, profondo conoscitore delle tecniche di miscelazione – vabbè diciamolo, vero e proprio nerd della storia e delle tecniche – ti prepara cocktail che ci porteresti tua madre la domenica dopo che si è accostata alla comunione.
Comunque in sintesi, ne ho ordinato uno, che poi sono diventati due e poi tre e poi boh…
Perché è vero che – come reca una celebre citazione – un Martini è proprio come il petto di una donna: uno non basta e tre sono troppi, ma è altrettanto vero che non esiste al mondo nulla, che un buon Martini non possa risolvere.