Venerdì scorso ci siamo concesse un’esperienza fuori dal comune. A pranzo, abbiamo provato la cucina di Giuseppe Costa, 1 stella Michelin e membro dell’associazione Le Soste di Ulisse, chef del ristorante “Il Bavaglino”, che si trova a Terrasini.
Dopo anni di esperienze fuori dalla Sicilia, tra le più importanti quella a Milano con Cracco, a Roma con Beck e nella Costiera Amalfitana con Lavarra, lo chef Costa, decide di tornare nella sua amata terra d’origine. Il ristorante è composto da una piccola sala e da un delizioso dehors vista mare. Entrando ci si immerge in un bianco quasi assoluto, accostato, di tanto in tanto, ad elementi tortora, piccoli quadri che raffigurano alimenti o scene di pesca.
Minimalista sia l’arredamento che la mise en place, mettono in risalto l’albero stilizzato, simbolo dello chef.
La musica diffusa nell’ambiente contribuisce a creare un’atmosfera intima, raffinata e calda. La sala è gestita con estremo garbo da Irene Figlia ed il resto del personale di sala, pronti a dispensare consigli e delucidazioni su menù e vini.
Il menu prevede, oltre ai piatti alla carta, tre tipologie di degustazione. Noi abbiamo scelto “La nostra storia”, composto da sei portate, tra le più rappresentative della cucina de “Il Bavaglino”.
Si inizia con delle cialde di riso aromatizzate alla barbabietola, al nero di seppia, agli spinaci ed alla curcuma: colori splendidi e sapori delicati. L’entrée è lo sfincione al cucchiaio, un piatto della memoria, ne l’aspetto ne le consistenze sono tradizionali ma il gusto è quello autentico dello sfincione palermitano, in una veste assolutamente inconsueta: crema di caciocavallo, cipolla stufata e pane raffermo condito. A seguire, arriva il “cestino del pane”, con grissini all’olio d’oliva, pan brioche al nero di seppia, pane casereccio e focacce alle olive ed ai pomodorini, tutto rigorosamente fatto a mano.
Si prosegue con due antipasti: arancina di cous cous e crudo di gamberi. L’arancina è uno dei capisaldi dello chef, con la stessa ha vinto l’edizione del 2008 del Cous Cous Fest. La consistenza è più croccante rispetto alla classica arancina fatta con il riso, è farcita con ragù di pesce (molluschi e crostacei) ed accompagnata da una spuma di pomodoro. Anche in questo caso la “rivisitazione” di uno dei piatti simbolo della Sicilia risulta davvero felice. Il crudo di gamberi, invece, è accompagnato da finocchio croccante, maionese all’arancia, fiori eduli e pepe di Sichuan. Un altro grande classico siciliano rivisto e rielaborato con l’aggiunta di nuovi elementi e con un gioco di consistenze, l’arancia viene utilizzata per aromatizzare la maionese e la dolcezza del gambero crudo ingentilisce il piatto.
Passiamo ai primi. Troviamo un risotto che, come ci ha raccontato la sommelier Irene Figlia, è nato da un errore. Lo chef stava preparando un classico risotto e per sbaglio gli è caduto sopra del caffè, l’ha assaggiato ed ha pensato di farlo diventare un piatto, equilibrando i sapori con l’uso di altri ingredienti, la sua scelta è caduta sul cappero. Un piatto molto complesso che comprende un’ampia gamma di sapori: amaro, sapido, dolce, tutti perfettamente calibrati. Un menu in crescendo che, secondo noi, raggiunge l’apice con i prossimi due piatti di cui vi parleremo, ovvero, l’amatriciana di seppia ed il San Pietro alla finta milanese; come pasta abbiamo i tonnarelli, fatti a mano dalla brigata di Costa, ragù, guanciale e uova di seppia e punte di caprino: un piatto dalla sapidità spinta che, seppur realizzato con un ingrediente così delicato come la seppia, non perde la forza della ricetta originale.
Mentre, il filetto di pesce San Pietro è realizzato con una panatura al nero di seppia, ripieno di gambero e basilico ed accompagnato da una chips di panella, spuma di limone e zuppetta di vongole e cozze. Il filetto è carnoso, umido, il ripieno dolce e la zuppetta deliziosa. Inoltre il piatto è bellissimo, la panatura sembra pietra lavica!
Ci avviamo verso la conclusione con il predessert, una panna cotta al frutto della passione con gelatina di mirtilli per poi passare al dessert che è la Nuvola di cassata. Altro cavallo di battaglia dello chef ed altra rilettura di un grande classico. La consistenza è davvero quella di una nuvola, soffice ed impalpabile, dolce ma equilibrata dal letto di cioccolato fondente ed arricchita dalla croccantezza della frutta secca e dalle scorzette di agrumi canditi. In conclusione, piccola pasticceria. Una deliziosa composizione: la campana di vetro con biscottini di mandorla con confetti di anice e ciliegia candita, bignè con crema di limone, cestino con mousse di cappero, gelatine di frutta, mandorle e nocciole sabbiate.
Ultima nota per il caffè, accompagnato da un’ampia scelta di zuccheri: bianco, di canna, mascobado, nero. Ogni cosa, dal servizio ai piatti, è curata nei minimi particolari, niente è lasciato al caso.
La carta dei vini è molto ampia e completa, un grande spazio è dedicato alla Sicilia ma comprende vini da tutto il mondo. Noi siamo uscite dalla Sicilia ma siamo rimaste in Italia con un Riesling Falkenstein del 2014 che la sommelier ci ha consigliato e che abbiamo abbinato all’intero menu. Nel calice il colore è giallo paglierino carico, tendente al dorato. Al naso è fine ed intenso, con sentori di frutto della passione, pompelmo, mela, albicocca, insomma un olfatto ricco ed intrigante. Al palato ha una spiccata mineralità ed un’ottima acidità, un corpo ampio ed avvolgente, di buona fragranza e molto lungo. Perfetto per accompagnare l’intero pasto grazie alla sua struttura che lo rende adatto sia per il pesce che per la carne.
Un bel percorso, completo ed elaborato che ci ha trasmesso tutto l’amore dello chef per le materie prime e le tradizioni della nostra terra; un menu prevalentemente di pesce ma che comprende, alla carta anche piatti di carne. Dall’arredamento del locale, ai piatti ed al servizio le parole d’ordine sono rigore, pulizia e semplicità. Una cucina imprescindibilmente legata ai classici siciliani, fatta di rivisitazioni mai banali, tecnica ma non impersonale, a tratti emozionante.